Telegram, colosso creato da Pavel Durov, non se la passa molto bene.
A dichiarargli guerra questa volta è la Federazione Italiana Editori Giornali – FIEG – che nei giorni scorsi ha chiesto all’AGICOM, Autorità Garante delle Comunicazioni, la sospensione del servizio di messaggistica digitale. Il motivo? Permetterebbe la circolazione illecita di giornali e riviste.
Nel comunicato, FIEG precisa di aver richiesto «un provvedimento esemplare e urgente di sospensione di Telegram, sulla base di un’analisi dell’incremento della diffusione illecita di testate giornalistiche sulla piattaforma che, durante la pandemia, ha raggiunto livelli intollerabili per uno Stato di diritto».
Sono dieci i canali finiti nel mirino, dedicati esclusivamente alla distribuzione illecita di giornali, che contano 580mila utenti complessivi (registrando un +48% di iscritti negli ultimi tre mesi) e un incremento dell’88% di testate diffuse.
Andrea Riffeser Monti, Presidente della FIEG, ha tenuto a precisare che all’analisi di dieci canali destinati alla distribuzione illecita di giornali è seguita una stima delle perdite subite dalle imprese editoriali a dir poco allarmante: «In una ipotesi altamente conservativa, stimiamo 670 mila euro al giorno, circa 250 milioni di euro all’anno: un dato di fronte al quale confido che l’Autorità di settore voglia intervenire con fermezza e tempestività».
A questi, bisogna aggiungere tutti i canali che diffondono illecitamente libri, saggi, raccolte di poesie e prodotti editoriali di natura varia.
Il rischio è che si consolidi la pratica illecita della lettura di quotidiani e non, diffusi via chat, con la conseguente compromissione del lavoro e degli investimenti delle migliaia di persone che compongono la filiera produttiva editoriale. Dagli editori ai poligrafici, dai giornalisti agli edicolanti: tutte queste figure, da sempre impegnate a garantire la continuità di quel bene primario che è l’informazione, sono oggi più che mai chiamate ad assolvere alla garanzia di un diritto costituzionalmente garantito. A loro e alla stampa si deve un intervento tempestivo.
A poche settimane dalla denuncia di Wired sul proliferare dei gruppi di revenge porn proprio sulla piattaforma, Telegram torna nell’occhio del ciclone.
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