I giganti del web come Facebook, Google e Amazon, sono multinazionali con sede legali negli Stati Uniti e profitti generati in tutto il resto del mondo. Un esempio? Secondo l’Area Studi di Mediobanca, solo nel 2018 il fatturato delle filiali italiane di questi colossi è stato superiore ai 2,4 miliardi di euro. Le tasse pagate? “Solo” 64 milioni di euro, per una strategia di massimizzazione dei profitti e riduzione al minimo degli oneri fiscali. Circa la metà degli utili è infatti tassato in Paesi a fiscalità agevolata come Lussemburgo o Irlanda, con risparmi che – dal 2014 al 2018 – arrivano anche a 49 miliardi di euro.
Ma la Commissione Europea non ci sta: ha perciò proposto l’introduzione di una tassa comunitaria per costringere questi giganti a pagare le tasse nei Paesi in cui vengono generati i profitti – e non nel Paese in cui hanno sede legale, com’è stato concesso sinora.
L’OCSE sta inoltre lavorando a un’ipotesi di riforma globale, da attuare entro la fine dell’anno, volta alla sigla di un accordo tra i maggiori Paesi per mitigare il meccanismo di competizione fiscale.
Queste iniziative, tuttavia, non hanno ancora portato a risultati concreti e molti Paesi hanno deciso di agire in autonomia.
L’Italia ha introdotto, già nel 2019, la cosiddetta Imposta sui servizi digitali: questa tassa colpisce i ricavi delle società che forniscono servizi digitali. I destinatari della tassa sono le aziende con fatturato globale minimo di 750milioni di euro, di cui 5,5 derivanti da servizi erogati sul territorio nazionale. L’imposta vuole insomma colpire la pubblicità online dei colossi del web e le commissioni che queste incassano dalla vendita di beni e servizi su una qualunque piattaforma digitale. L’importo dovuto ammonterebbe così al 3% dei ricavi generati nel nostro Paese e dovrebbe produrre entrate per 708 milioni di euro solo nel 2020. Numeri ridotti rispetto ai fatturati di quelle aziende, ma, nonostante ciò, Steven Mnuchin – segretario al Tesoro degli Stati Uniti – ha inviato una lettera dai toni inequivocabili ai Ministri dell’Economia di Italia, Francia, Regno Unito e Spagna: questi Stati avrebbero la “colpa” di aver introdotto una tassa che ricadrebbe principalmente su imprese statunitensi. Nella lettera, Mnuchin precisa che “gli Stati Uniti non sono in condizione di concordare, neanche su base transitoria, cambiamenti a regole fondamentali che finiscano per tassare più pesantemente solo un gruppo limitato di aziende in prevalenza americane”. La lettera si chiude con un’esplicita minaccia di introduzione di sanzioni commerciali e dazi nel caso in cui i Paesi non ritrattino o ritirino le nuove imposte.
Sebbene la Francia abbia annunciato di voler proseguire comunque nella strada che porta all’introduzione di nuove tasse, le trattative Ocse procedono a rilento – anche a causa dell’epidemia di coronavirus – e la Commissione ha chiarito che, in caso di mancata intesa globale, presenterà comunque una propria proposta entro la fine del 2020.
Non ci resta che aspettare le elezioni negli USA per capire come procederanno i negoziati e tenere d’occhio tutte le possibili reazioni di Bruxelles.
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