Si parla spesso, soprattutto nelle ultime settimane di emergenza sanitaria, di smart working tra aziende e Pubblica Amministrazione. Il modello porta notevoli vantaggi ormai noti a tutti in termini di produttività, welfare e qualità di vita del lavoratore, ma non tutti sanno di cosa si tratta.
Scopriamolo insieme
Smart… che?
Smart working è l’espressione ormai ricorrente utilizzata per indicare il lavoro svolto da casa attraverso l’uso di strumenti informatici. L’espressione è uno pseudoanglicismo perché in inglese questa modalità di lavoro viene definita remote working oppure working from home. In inglese, smart working indica una modalità di lavoro flessibile, resa più funzionale da processi migliorati, strumenti e tecnologie che agiscono in maniera intelligente (smart, appunto). L’aggettivo inglese smart indica infatti sia l’abilità di muoversi con facilità che la capacità di pensare e comprendere facilmente e rapidamente. Proprio quest’ultima accezione è entrata con prepotenza nel linguaggio comune con riferimento al mondo del lavoro, ma gli anglosassoni ci forniscono ben tre espressioni differenti da cui attingere a pieni mani, ma con maggiore accuratezza. Non solo smart working, ma anche flexible working e agile working.
Smart working
Caratterizzato da flessibilità oraria e di luogo, prevede un’autonomia e una collaborazione maggiori e dà notevole importanza a tecnologie e strumenti capaci di rendere il lavoro più funzionale.
Flexibile working
Consente al lavoratore di scegliere sia l’orario di lavoro (time), come previsto dal lavoro elastico con orario flessibile, che il luogo (location), di solito in ufficio o da casa.
Agile working
Più recente, condivide molti aspetti con lo smart working ma si focalizza sulla miglior combinazione possibile di fattori per portare a termine le attività in maniera rapida, efficiente, conveniente e soddisfacente. Si descrive solitamente in termini di time (quando), location (dove), role (cosa fanno le persone) e source (chi viene impiegato per svolgere l’attività).
La situazione italiana
I media, le aziende e la politica italiano utilizzano quindi impropriamente l’espressione smart working come sinonimo del lavoro agile previsto dalla legge n°81/2017 “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. Anzi, nel testo stesso della legge n°81/2017 non si trova alcuna ricorrenza all’anglicismo, né corrispondenza con smart working o agile working: le forme previste dall’ordinamento italiano si avvicinano al flexible working (o remote working).
A questa, bisogna aggiungere le disposizioni del decreto attuativo n°6/2020 approvato per far fronte alle misure di isolamento e prevenzione adottate in Italia contro la diffusione del Coronavirus. Il decreto prevede infatti “la sospensione delle attività lavorative per le imprese […] ad esclusione di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare ovvero in modalità a distanza”. Questo quadro porta a interrogarsi sui numeri del lavoro da remoto in Italia: nel 2019 erano 570mila i lavoratori agili, ma i numeri sono destinati a crescere – e non solo in queste settimane. Il motivo risiede nei benefici ottenibili, sia dalle aziende che dai lavoratori, in termini di produttività (+15%), welfare, riduzione dell’assenteismo e dei costi (per esempio di affitto o acquisto di spazi fisici o per gli spostamenti). Si stima inoltre che i lavoratori che potrebbero beneficiare di queste modalità sono almeno 5 milioni (pari al 22% degli occupati) e che uno sviluppo concreto di investimenti per progetti di lavoro da remoto potrebbero interessare almeno il 70% dei lavoratori.
Gli elementi necessari per un progetto di lavoro remoto sono:
- tecnologie, dalla social collaboration alle workspace technologies;
- competenze digitali e capacità di lavorare in team;
- cultura lavorativa orientata verso un’organizzazione result-based.
L’auspicio è che gli esperimenti di queste settimane possano fungere da trampolino di lancio per nuove modalità di lavoro e, perché no, nuovi posti di lavoro agile in un contesto lavorativo aperto alle nuove tecnologie e pronto a una rivoluzione culturale ormai necessaria.
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