La didattica a distanza ha messo nuovamente al centro del dibattito la diffusione di pc o tablet e della banda larga tra i ragazzi e nelle scuole. Sono sì aspetti da potenziare in quanto veicoli di inclusione, ma i dati sulla loro diffusione possono davvero contribuire a individuare le caratteristiche della povertà educativa?
Il dato in sé inquadra una situazione poco rosea: anche laddove sono presenti dispositivi e connessione, il 73,7% degli studenti di famiglie avvantaggiate usa internet anche per leggere notizie, mentre nelle famiglie svantaggiate il dato scende sino al 60,4%.
La crisi sanitaria ed economica che sta investendo le famiglie dimostra, anche con questi dati, che la povertà educativa non è solo tecnologica. Già nel 2019, il MIUR aveva diffuso un rapporto che mostrava come 6.244 dei circa 1.703.000 alunni frequentanti all’inizio dell’anno scolastico 2016/2017 la scuola media abbiano interrotto la frequenza scolastica nel corso dell’anno scolastico. Sono invece ben 99.272 i ragazzi che hanno abbandonato la scuola superiore prima di diplomarsi.
Come misurare allora la povertà educativa?
Il punto di partenza è lo svantaggio, sia sociale che economico, rispetto alla comunità educante e il divario territoriale. Per comprendere quest’ultimo fattore, sono poi necessari dati disaggregati che vadano a misurare lo svantaggio in maniera granulare, sulla base per esempio della presenza di infrastrutture in prossimità della residenza. Questo tipo di dato, sfortunatamente, non è sempre disponibile.
OpenPolis, a tal proposito, ha offerto nei giorni scorsi, un possibile nuovo punto di vista, articolato nei seguenti punti:
– diffusione delle famiglie povere (in particolare in povertà abitativa);
– il livello di istruzione dei familiari dei ragazzi;
– impatto della presenza di tanti figli sullo svantaggio sociale;
– presenza di una comunità educante (servizi extra scolastici ed extra familiari).
Alla luce di questi, si potrebbe ragionare poi in termini sia di diffusione della banda larga che di possesso di strumento digitali per l’apprendimento (a scuola e a casa).
Non tutte le famiglie hanno infatti gli strumenti per supportare i figli nel percorso scolastico: nei mesi di lockdown, sono rimasti a casa oltre 8 milioni e mezzo di studenti, dall’asilo alle scuole superiori, ma il 12,3% di loro non aveva un pc o un tablet a casa e uno su cinque di questi vive nel Mezzogiorno. Secondo recenti dati Istat, il 5,3% delle famiglie dichiara di non potersi permettere l’acquisto di un pc. La maggior parte delle famiglie, inoltre, non possiede una connessione internet domestica: nei paesi con meno di 2000 abitanti è connesso solo il 69% delle famiglie, contro l’80% delle aree metropolitane. Il 41,9% dei minori italiani poi vive in una abitazione sovraffollata e il 7% affronta anche un disagio abitativo (problemi strutturali, poca luminosità).
A questi, si aggiunge l’influenza delle scelte formative dei giovani dovuta al titolo di studio dei genitori: l’università non è, oggi, un’occasione per tutti per poter ridurre lo svantaggio. Il gap è presente in tutti gli step formativi, ma diventa più marcato dopo il diploma: a scegliere di iscriversi all’università è il 75,1% dei diplomati che proviene da contesti favoriti a fronte del 56,7% dei giovani provenienti da famiglie meno favorite.
Solo la metà dei diplomati che proviene da famiglie in cui i genitori non sono diplomati decide di iscriversi all’università, contro il 66% di chi ha entrambi i genitori diplomati e l’82,2% di chi ha almeno un genitore laureato.
Quella scolastica è un’emergenza da affrontare subito, tenendo conto delle specificità territoriali e sociali: la diffusione dell’e-learning e della DAD passano innanzitutto da un coinvolgimento di tutti gli studenti e tutte le famiglie, affinché la scuola possa davvero dirsi inclusiva e capace di combattere attivamente la povertà educativa.
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